Il caso

La vicenda definita dalla Suprema
Corte con la sentenza n. 23401/2021 (Sez. VI, 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022)
tra origine da una contestazione elevata nei confronti della società Impregilo
s.p.a. per l’illecito amministrativo dipendente da reato previsto all’art.
25-ter del D. Lgs. 231/2001 in relazione al delitto di aggiotaggio, ex art. 2637
c.c., che secondo l’accusa sarebbe stato commesso nel suo interesse e vantaggio
dal presidente del consiglio di amministrazione e dall’amministratore delegato della
medesima società (per i quali si è proceduto separatamente) mediante la
comunicazione al mercato di notizie false sulle previsioni di bilancio e sulla
solvibilità di una propria società controllata, posta in liquidazione.

Il cuore dell’accertamento della Suprema
Corte si riassume in due punti:

  1. il
    giudizio sulla idoneità o meno del modello organizzativo “ante delictum
    della società a prevenire reati della stessa specie di quello per cui si
    procede – che nel caso specifico significa attitudine a
    «ridurre il rischio di commissione dei reati connessi alle
    attività informative della medesima rispetto al mercato ed agli enti regolatori
    dello stesso
    »[1] –, anche alla luce della presunta
    carenza di autonomia dell’Organismo di Vigilanza, dipendente dall’organo
    amministrativo della società, ed in ragione della mancanza/del mancato
    esercizio di suoi (eventuali) poteri di intervento sul comunicato stampa
    diffuso dalla società medesima e genetico del procedimento penale;
  2. il
    giudizio sulla qualificazione o meno della condotta dell’amministratore
    delegato e del presidente del consiglio di amministrazione della società –
    dunque, di soggetti “apicali” ai sensi degli artt. 5 e 6 del D. Lgs. 231/2001 –
    in termini di “elusione fraudolenta” del Modello organizzativo[2].

 

La soluzione della Cassazione

All’esito di una lunga e travagliata
evoluzione processuale[3],
la Suprema Corte è pervenuta a confermare l’assoluzione di Impregilo s.p.a. dall’illecito
amministrativo da reato in contestazione.

Muovendo dall’esigenza di una valutazione
del modello in concreto ed in relazione alla prevenzione di reati della stessa
specie di quello contestato, la Corte di Cassazione ha dato risposta positiva
ad entrambi i punti richiamati, ossia ha ritenuto il modello 231 in questione
idoneo ed adeguato alla riduzione del rischio-reato di aggiotaggio, ed ha
ravvisato nella condotta dei vertici societari gli estremi dell’elusione
fraudolenta del modello stesso.

Ciò, in particolare, in ragione

  1. della
    esistenza nella società di regole interne e procedure specifiche adeguate – con
    partecipazione di differenti articolazioni societarie competenti – per l’autorizzazione
    e la diffusione al mercato di comunicazioni “price sensitive”, regole e
    procedure aggirate dai soggetti apicali con una propria azione estemporanea
    concordata in tempi brevissimi ed in spregio dei dati offerti dalle strutture
    tecniche della società, sfruttando al propria autonomia di gestione;
  2. della
    inesistenza di poteri di intervento dell’OdV sulle scelte di gestione aziendale
    afferenti le predette comunicazioni, con la conseguenza di ritenere – nel caso
    di specie – che la sua asserita mancanza di autonomia dall’organo amministrativo
    non abbia avuto efficienza causale nella commissione del reato da parte di
    quest’ultimo.   

 

I principi interpretativi e di metodo
elaborati dalla Cassazione in tema di idoneità del modello 231, elusione
fraudolenta, linee-guida di categoria e funzioni dell’OdV

Nel pervenire alla conclusione della
vicenda, la Suprema Corte ha fatto applicazione di alcuni principi interpretativi
e metodologici di valenza generale:

  • la circostanza che – in presenza di
    un modello organizzativo – sia stato commesso un reato non equivale a
    dimostrare per ciò solo che il modello stesso non sia idoneo
    , ossia incapace di
    prevenirne la commissione;
  • l’accertamento della responsabilità
    dell’ente per l’illecito amministrativo dipendente da reato segue le regole
    proprie della causalità colposa. Dunque, non è sufficiente che si realizzi il
    reato in conseguenza della inosservanza di una data regola cautelare:
    «occorre che il risultato offensivo
    corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata era diretta
    a fronteggiare
    », verificando se l’adozione del comportamento
    alternativo lecito
    avrebbe
    evitato l’evento.

In tal senso, la valutazione della
idoneità del modello avviene applicando il meccanismo della cd. “prognosi
postuma”
, mediante il quale il giudice si pone idealmente nel momento in cui il
reato è stato commesso per verificare se l’adozione del modello “virtuoso”
avrebbe consentito di prevederne ed evitarne la commissione. Stesso dicasi per
la valutazione di efficace attuazione del modello, che dovrà basarsi
«su elementi di fatto concreti, raccolti in
istruttoria (testimonianze, perizie, prove scientifiche)
»[4];

  • i codici di comportamento redatti dalle
    associazioni maggiormente rappresentative e validati dal Ministero della
    Giustizia ex art. 6 co. 3 del D. Lgs. 231/2001
    svolgono la duplice funzione di
    costituire i parametri orientativi per le imprese nella costruzione del
    “modello organizzativo” e di temperare la discrezionalità del giudice nella
    valutazione dell’idoneità del modello stesso. La Suprema Corte, per questa via,
    individua un onere motivazionale rafforzato e specifico in capo al giudice il
    quale voglia ritenere non idoneo un modello pur qualora lo stesso sia stato adottato
    in conformità alle cd. linee-guida. Ed invero,
    «in
    presenza di un modello organizzativo conforme a quei codici di comportamento,
    il giudice sarà tenuto specificamente a motivare le ragioni per le quali possa
    ciò nonostante ravvisarsi la “colpa di organizzazione” dell’ente, individuando
    la specifica disciplina di settore, anche di rango secondario, che ritenga
    violata o, in mancanza, le prescrizioni della migliore scienza ed esperienza
    dello specifico ambito produttivo interessato
    , dalle quali i codici di comportamento
    ed il modello con essi congruente si siano discostati, in tal modo rendendo
    possibile la commissione del reato
    »[5];
  • le carenze del modello organizzativo non sono automaticamente fonte di responsabilità ex D. Lgs.
    231/2001 della società: «la lacuna od il punto di debolezza di un modello [possono]
    condurre a ravvisare una responsabilità dell’ente soltanto se abbiano avuto
    un’efficienza causale nella commissione del reato presupposto da parte del
    soggetto apicale, nel senso che la condotta di questi sia stata resa possibile,
    anche in via concorrente, proprio dall’assenza o dall’insufficienza delle
    prescrizioni contenute nel modello
    »;
  • l’Organismo di Vigilanza non è un
    supervisore dell’attività degli organi direttivi e d’indirizzo della società,
    né si inserisce nella gestione di quest’ultima; il suo compito, ai sensi del D.
    Lgs. 231/2001, «è solamente
    quello di individuare e segnalare le criticità del modello e della sua
    attuazione, senza alcuna responsabilità di gestione.
    […] Invero,
    l’organismo di vigilanza non può avere connotazioni di tipo gestorio, che ne
    minerebbero inevitabilmente la stessa autonomia: ad esso spettano, piuttosto,
    compiti di controllo sistemico continuativo sulle regole cautelari predisposte
    e sul rispetto di esse nell’ambito del modello organizzativo di cui l’ente di è
    dotato
    »;
  • l’elusione fraudolenta del modello va
    valutata muovendo dal presupposto che «il
    concetto di
    “elusione” implichi necessariamente una condotta munita di
    connotazione decettiva, consistendo nel sottrarsi con malizia ad un obbligo
    ovvero nell’aggiramento di un vincolo, nello specifico rappresentato dalle
    prescrizioni del modello
    ».

La condotta elusiva assume dunque il carattere
della fraudolenza – rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità
dell’ente – quando risulti «“ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola”,
tale da frustrare con l’inganno il diligente rispetto delle regole dell’arte da
parte dell’ente
».

In altri termini, la condotta del soggetto
apicale deve rappresentare una «dissociazione dello stesso dalla politica
d’impresa
» ed il prodotto di una sua scelta personale ed autonoma «realizzata
non già per effetto di inefficienze organizzative, ma, piuttosto, nonostante
un’organizzazione adeguata, poiché aggirabile, appunto, soltanto attraverso una
condotta ingannevole
»[6].

Infine, la Suprema Corte ha precisato che tale
efficacia decettiva deve dispiegarsi all’interno della struttura organizzativa
dell’ente, ossia verso gli organi e l’apparato di controllo dello stesso,
dovendo l’elusione fraudolenta valutarsi in relazione alle prescrizioni del
modello organizzativo.

 

Conclusioni

La sentenza in commento ha il pregio di fornire
un’impostazione metodologica della interpretazione e valutazione dell’idoneità
ed efficacia del modello 231 che appare rispettosa dei principi giudici di personalità
della responsabilità penale e colpevolezza, in modo da abbandonare automatismi
che fanno discendere la responsabilità della società dalla mera esistenza di lacune
nel modello organizzativo.  

Oltre a ciò, la Cassazione ha valorizzato il
ruolo delle c.d. linee-guida di categoria come parametro interpretativo specifico
e responsabilizzato il giudice di merito, il quale – nel valutare modelli 231 che
ad esse siano conformi – potrà discostarsi dalle stesse non semplicemente in forza
della propria discrezionalità decisionale, bensì con un onere motivazionale
rafforzato e specifico.   

Infine, la Suprema Corte ha riportato in asse le
funzioni e poteri dell’Organismo di Vigilanza, dilatati dalla recente giurisprudenza
di merito, restituendo tale organo alla sua funzione di “guardiano” dell’idoneità ed
adeguatezza del Modello 231 e non della gestione della società.


[1][1]
cfr. Cass. Pen., sez. 6, sent. 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022, n. 23401,
pag. 10.

[2]
L’art. 6 co. 1 lett. c) del D. Lgs. 231/2001 prevede che l’ente non risponde
del reato presupposto commesso da un cd. soggetto apicale (ossia, ai sensi
dell’art. 5 co. 1 lett. a) del Decreto, «da persone  che 
rivestono  funzioni  di 
rappresentanza, di amministrazione 
o  di  direzione 
dell’ente  o  di 
una  sua  unità organizzativa dotata di autonomia
finanziaria e funzionale nonché da persone 
che  esercitano,  anche di fatto, la gestione e il controllo dello
stesso
»)
«se
le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di
organizzazione e di gestione
».

[3]
Premessa la consumazione del reato nell’anno 2003, in data 17 novembre 2009 Impregilo
s.p.a. veniva assolta dal G.I.P. di Milano, il quale riteneva

  1. il modello organizzativo della società idoneo
    alla riduzione del rischio di commissione del reato di aggiotaggio;
  2. la condotta dei soggetti apicali societari,
    presunti autori di tale reato (presidente del consiglio di amministrazione e
    amministratore delegato), integrante gli estremi dell’ “elusione fraudolenta
    del modello”, come tale idonea a scagionare la società.

Tale impostazione veniva
confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza del 21 marzo 2012, per
essere smentita dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 4677 del 18 dicembre
2013.

In tale sentenza la Suprema
Corte – ribaltando le conclusioni raggiunte in sede di merito – riteneva

  1. il modello 231 di Impregilo s.p.a. non idoneo
    alla prevenzione del reato di aggiotaggio in quanto provvisto di un organismo
    di vigilanza sottoposto alle dirette dipendenze dall’organo amministrativo
    della società;
  2. la condotta dei soggetti apicali non qualificabile
    come “elusione fraudolenta” rilevante ai sensi dell’art. 6 co. 1 lett. c) del
    D. Lgs. 231/2001,

disponendo pertanto la
devoluzione del processo alla Corte di Appello di Milano per nuovo accertamento
dei poteri in concreto attribuiti all’Organismo di Vigilanza in relazione ai
comunicati dei vertici societari destinati al mercato.

La Corte di appello di
Milano, con sentenza del 10 dicembre 2014, confermava la decisione assolutoria
del primo giudice in punto di

  1. idoneità del modello organizzativo alla prevenzione
    del reato di aggiotaggio, anche in ragione della sua conformità alle
    indicazioni di Consob e Confindustria;
  2. qualificazione della condotta dei soggetti
    apicali della società come “elusione fraudolenta”.

Avverso
tale sentenza proponeva nuovo ricorso per cassazione la Procura Generale
distrettuale – definito con la sentenza in commento –, lamentando che giudice d’appello
non si fosse attenuto ai principi di diritto affermati dalla sentenza di
legittimità rescindente in punto di adeguatezza del modello 231 adottato (che
non poteva essere desunta dalla mera conformità dello stesso alle c.d. linee-guida
delle associazioni di categoria) e non coincidenza della “elusione fraudolenta”
con la mera violazione delle prescrizioni operative contenute nel modello
organizzativo in relazione alla riduzione dei rischi di commissione del reato
di aggiotaggio.

[4] cfr.
Cass. Pen., sez. 6, sent. 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022, n. 23401, pag. 12.

[5] cfr.
Cass. Pen., sez. 6, sent. 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022, n. 23401, pag. 13.

[6] cfr.
Cass. Pen., sez. 6, sent. 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022, n. 23401, pag.
18.

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