FATTO
Mentre si trovava sul ponteggio di una galleria, in fase di smontaggio, un lavoratore veniva colpito da un’ asse di contenimento della gettata di cemento con la quale veniva realizzata la veletta e perdeva l’equilibrio. Essendo il ponteggio privo di dispositivi di sicurezza (c.d. sponde laterali), adoperate per la prevenzione del rischio di cadute dall’alto, precipitava da un’ altezza di circa 10 metri, riportando gravissime lesioni che ne determinavano la morte dopo circa un’ ora, riscontrata sul posto dei sanitari intervenuti.
DIRITTO
In relazione all’ infortunio mortale del lavoratore e alle conseguenti responsabilità su cui si è indagato, la Corte di Cassazione, IV sezione penale, con la sentenza n. 570/2023 è ritornata a sottolineare l’importanza di non confondere “i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro con i profili di responsabilità da illecito amministrativo della società”, rimarcando che la responsabilità dell’amministratore non si riflette sull’ente e che quindi l’applicazione di una sanzione ex D.Lgs 231/2001 va sempre valutata e ponderata con attenzione.
Pertanto, ha annullato la pronuncia della Corte d’Appello di Milano che condannava la società ad una misura pecuniaria (30.0000,00 euro) per la violazione di norme di sicurezza sul luogo di lavoro che ha determinato la morte del lavoratore, per non aver la società adottato strumenti di protezione adeguata.
Tanto, poiché non è mai emerso con chiarezza, sin dagli albori della vicenda, il concreto profilo di responsabilità addebitato alla società ex decreto 231; piuttosto, una confusione tra la responsabilità da reato dell’ amministratore/datore di lavoro e la responsabilità da illecito amministrativo dell’ ente.
Il Giudice di seconde cure, in effetti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’amministratore della società per essere il reato a lui ascritto estinto per intervenuta morte del reo. Confermava, tuttavia, nel resto l’ impugnata sentenza con riguardo alla ritenuta responsabilità amministrativa dell’ente.
L’imputazione era formulata ai sensi e per gli effetti degli arti 41 e 589 c.p. commi 1 e 2, in relazione alle norme per la sicurezza dei lavoratori, perchè, con condotte indipendenti e causalmente rilevanti nella produzione dell’ evento, operando, mediante le rispettive imprese, presso il cantiere temporaneo per la realizzazione della (Omissis), sito all’ altezza dello svincolo (Omissis), cagionavano la morte di D.D., dipendente della Iron Master Srl , per un <<complesso traumatismo policontusivo produttivo di lesioni cranio encefaliche, oltre che di lesioni scheletriche e viscerali>>, per colpa generica e per inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, attribuibile all’amministratore unico B.B. in quanto commesso nel vantaggio dell’ente
Dunque la società A.A. SpA era stata ritenuta dai Giudici di merito responsabile dell’ illecito amministrativo di cui al D- Lgs 231/2001, art. 25-septies, co. 3: omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro per aver tratto vantaggio dalla condotta del reato attribuito all’amministratore. Vantaggio consistito nel risparmio derivante dall’impiego, presso il cantiere anzidetto, di lavoratori solo formalmente dipendenti di una società (Iron Master Srl ), in realtà sottoposti al potere direttivo di altra società (A.A. SpA).
Nel ritenere il ricorso proposto dal difensore della A.A. SpA fondato, l’adita Corte ha evidenziato che, già dalla descrizione del capo d’ accusa, non emerge con chiarezza in che termini può parlarsi di responsabilità dell’ente di riferimento, avuto riguardo ai modelli di organizzazione e gestione ex D.Lgs 231/2001, la cui efficace adozione consente all’ ente di non rispondere dell’illecito, ma la cui mancanza, di per sè, non può implicare un automatico addebito di responsabilità.
A tal proposito, sembra utile ricordare che all’ente può addebitarsi un illecito quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dell’ ente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell’ ente stesso (art. 5 D.Lgs. n. 231/2001): l’ ente risponde per un fatto proprio, ma per evitare che ciò determini il manifestarsi di profili di responsabilità oggettiva, la giurisprudenza ha sovente affermato, di concerto con i requisiti di cui sopra, sussista anche la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ ente, cioè la mancata adozione ovvero il mancato rispetto di standard doverosi.
CONCLUSIONI
Calando le considerazioni che precedono nel caso che occupa, appaiono ora più chiare i dubbi palesati dal supremo consesso in riferimento già alla sola formulazione del capo di imputazione, che si limita ad addebitare all’ ente un mero vantaggiò senza specificare nulla in relazione ad un’eventuale colpa di organizzazione, da cui sarebbe derivato il reato presupposto, che è cosa diversa dalla colpa eventualmente riconducibile al soggetto apicale cui è ascritto il reato.
Ed ecco così che viene in auge la sovrapposizione di responsabilità così come ricascata dalla Corte, essendosi confusi i profili di responsabilità dell’amministratore persona fisica con i profili di responsabilità da illecito amministrativo della A.A. Spa.
L’omessa dimostrazione della sussistenza di una colpa di organizzazione esime, dunque, l’ ente da responsabilità