Premessa.

Gli effetti pandemici dovuti al nuovo coronavirus non hanno risparmiato le imprese da significative ricadute: esse sono perciò state chiamate a rivedere i propri sistemi di governance al fine di tutelarsi da ogni rischio “inedito” legato direttamente, ovvero di riflesso, al COVID-19.
Ad un contesto nuovo (e straordinario), nuovi strumenti, dunque. Di talchè è stato necessario rimodulare la tradizionale concezione di compliance alla luce della recente normativa emergenziale in materia di crisi d’impresa, per offrire alle aziende strumenti che, se adoperati in sinergia — e non in contrapposizione —, possono fornire soluzioni idonee a prevenire la crisi d’impresa, da un lato, e contribuire, dall’altro, ad un efficace risanamento aziendale.
In effetti, come già evidenziato in precedenti lavori, la cosiddetta “gestione integrata dei rischi” è stata ritenuta di fondamentale importanza dalle stesse Linee Guida di Confindustria, secondo le quali solo il passaggio ad una compliance integrata può rendere l’ assetto aziendale capace di gestire i rischi che sovente si manifestano nell’arco della vita di un’impresa.
Compliance 231 e CCII in un’ottica “integrata”

Il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, rubricato “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”, ha recentemente – tra l’altro – modificato il codice civile introducendo un nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c., il quale ha previsto il dovere dell’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva «di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».
Con il “dovere” previsto in seguito all’introduzione del CCII (modificato di recente con D.L. 24 agosto 2021 n. 118, convertito in L. 21 ottobre 2021 n. 147, recante – tra le altre – “misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale”), il legislatore ha dunque ha prescritto all’imprenditore di dotarsi di un’organizzazione interna idonea a prevenire e rilevare l’insorgere della crisi d’impresa. Tale organizzazione, se adeguatamente strutturata, potrà confluire nella formalizzazione del Modello 231.
In tal modo, dunque, gli adeguati assetti organizzativi aiuteranno l’impresa a monitorare le attività di gestione e a rilevare con tempestività eventuali mancanze, cosicché si potrà non solo evitare il fallimento dell’ente, ma anche e soprattutto prevenire la commissione dei reati e rendere esente la società da una possibile responsabilità.
In tale ottica non può negarsi che il continuo prorogarsi dello stato di emergenza ha avuto “il merito” di dare nuova linfa alla compliance 231 nella vita delle imprese, poiché sempre più pacificamente essa viene intesa come la soluzione più pregnante da adottare per la tutela, in primis, della salute dei lavoratori dal contagio del virus e, di riflesso, per la salvaguardia della funzione datoriale, in considerazione della sempre più concreta possibilità di incorrere in responsabilità civile, penale e amministrativa.
Invero la chiave di lettura della problematica sottesa alle questioni giuridiche ivi proposte è da rinvenirsi nella stretta correlazione esistente tra la materia della prevenzione dei reati (artt. 6 e 7 dlgs 231/2001) e quella della prevenzione della crisi di impresa: seguendo le linee guida fornite dalla legislazione emergenziale in commento, dunque, ogni realtà imprenditoriale sarà in grado non solo di prevenire la commissione dei reati presupposto, ma anche di rilevare tempestivamente “la crisi dell’ impresa e della perdita della continuità aziendale”, adottando efficaci Modelli Organizzativi di Gestione e Controllo, integrati con le procedure di allerta dettate dal CCII.
Conclusioni
L’interazione tra strumenti di prevenzione della crisi d’impresa e Modello 231 si inserisce nell’ambito della sempre maggiore efficacia attribuita negli anni più recenti alla c.d. compliance integrata, ovvero alla predisposizione di un insieme di protocolli, documenti e flussi informativi – relativi a diversi ambiti sensibili dell’attività dell’impresa (ambiente, sicurezza sul lavoro, privacy, anticorruzione ecc.) – atti a offrire una gestione unitaria e complessiva delle varie aree di rischio dell’ente.
La metodologia comune impiegata si fonda sulle logiche del risk approach e permette, attraverso l’attività di mappatura di tutti i processi aziendali, di individuare punti di forza da valorizzare e aree sensibili da potenziare.
È proprio questo il valore aggiunto che il nuovo Codice dell’impresa e dell’insolvenza riconosce alla compliance 231 nella sua ultima modifica normativa, attribuendole di fatto il compito di contribuire a misurare le condizioni di salute economica della società al fine di evitare un improvviso stato di insolvenza.
Le stesse Linee-guida di Confindustria per la redazione dei modelli organizzativi hanno ritenuto di fondamentale importanza la cosiddetta “gestione integrata dei rischi”, evidenziando come soltanto il passaggio ad una compliance integrata possa rendere l’assetto aziendale capace di gestire i rischi che sovente si manifestano nell’arco della vita di un’impresa.
In definitiva, l’auspicabile utilizzo connesso delle due diverse discipline da parte delle attività imprenditoriali, anche medio – piccole, innescherebbe null’altro se non un circolo virtuoso teso a perseguire un’impeccabile organizzazione aziendale, nonchè un accrescimento reputazionale in termini di affidabilità, credibilità e sostenibilità dell’organizzazione.

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