Premessa

Il rifiuto della vaccinazione anti-Covid non esclude, in caso di contagio sul luogo di lavoro, il diritto del lavoratore alla tutela infortunistica.
Questo è quanto stabilito dall’INAIL in relazione allo specifico caso degli infermieri no vax dell’ospedale San Martino di Genova, risultati positivi dopo aver rifiutato la somministrazione del vaccino. Si tratta, ovviamente di un caso specifico ma, tuttavia, tale orientamento è destinato ad assumere una portata più ampia.

La posizione dell’INAIL

In una nota del 1 marzo 2021, l’Istituto assicuratore ha stabilito che “il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato”. Pertanto, il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi e contrae il Coronavirus sui luoghi di lavoro è comunque coperto dalla tutela infortunistica, ma non ha diritto al risarcimento da parte del datore di lavoro che abbia adottato tutte le misure di contenimento del rischio ivi compresa, nel caso di specie, l’esortazione alla vaccinazione e la messa a disposizione di specifico vaccino. L’assicurazione, infatti, comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione del lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità temporanea che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. Da ciò si desume che la tutela è esclusa in caso di infortuni dolosi del lavoratore o di infortunio simulato.
Il comportamento colposo del lavoratore, invece, tra cui rientra anche la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé, l’esclusione dell’operatività della tutela prevista. Tale comportamento può invece escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’INAIL all’esercizio dell’azione di regresso nei confronti del datore stesso.
Con riferimento al c.d. rischio elettivo, ovvero quello determinato dal lavoratore stesso con il suo comportamento e non dallo svolgimento delle mansioni cui è addetto, vale la pena precisare che in tal caso non sussistono i presupposti per la responsabilità del datore di lavoro né quelli per il riconoscimento dell’indennizzo. Si tratta, infatti, degli infortuni dovuti al dolo del lavoratore, ossia ad un rischio da lui stesso occasionato che non ha alcun rapporto con lo svolgimento del suo lavoro. Secondo la giurisprudenza, tale rischio ricorre in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, motivato da un impulso meramente personale, privo di qualsiasi nesso con l’attività lavorativa e, pertanto, non riconducibile in alcun modo alla responsabilità del datore di lavoro.

Conclusioni

L’orientamento espresso dall’INAIL è, evidentemente, da intendersi in termini generali, nel senso che non comporta l’automatica ammissione alla tutela infortunistica del lavoratore che abbia contratto il virus dopo essersi rifiutato di sottoporsi alla profilassi vaccinale. E’, infatti, necessario accertare per ogni singola situazione che l’evento infortunistico sia riconducibile alla prestazione lavorativa. Ovviamente, qualora il contagio sia riconosciuto come infortunio sul lavoro, le prestazioni INAIL saranno erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria, con la conseguente astensione dal lavoro.

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