Premessa
Le confische
rappresentano oggi, all’esito dei numerosi interventi legislativi e
giurisprudenziali, l’ultima frontiera della specialprevenzione.
I più
recenti indirizzi di politica legislativa, infatti, muovono dalla presa di
coscienza che la spinta a delinquere è caratterizzata dalla facile prospettiva
di guadagnare e godere di una certa ricchezza.
Tali ragioni
di politica criminale, però, hanno dovuto coordinarsi con le garanzie che
connotano la materia penale, non più solo indicate dal diritto interno, ma
completate e integrate dalla giurisprudenza
della Corte Edu e dalla normativa comunitaria.
La confisca
è definita quale istituto proteiforme per la sua capacità di perseguire, attraverso
le distinte tipologie di cui si compone, funzione sanzionatoria
e preventiva, giungendo al comune effetto ablatorio del bene.
Anche il
Decreto Legislativo 231/2001, sorto dal recepimento delle istanze tese a
limitare il sempre più evidente indirizzarsi della criminalità verso la logica
del profitto, prevede differenti ipotesi applicative
di confisca.
Va da sé
come l’evoluzione delle questioni generali relative all’istituto si
ripercuotono anche sulle applicazioni proprie della materia della responsabilità
degli enti.
Il contesto:
la confisca e le sue recentissime problematiche.
Tutte le
ipotesi di confisca obbligatoria sono spesso state oggetto di profondi
contrasti, in dottrina ed in giurisprudenza, in relazione alla possibilità di
essere disposte anche in caso di estinzione del reato e, quindi, in assenza di
sentenza di condanna. Il nostro
ordinamento conosce diverse ipotesi di “confisca senza condanna”, alcune
inserite all’interno del codice penale – si pensi alla confisca ex artt. 240
co. 2 c.p. e 322 ter c.p. –, altre nella normativa
complementare – si pensi alla confisca misura di prevenzione
antimafia, alla confisca lottizzatoria, alla confisca “allargata”, a quella
prevista in materia di contrabbando e nel caso di responsabilità amministrativa
degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
Non tutte le ipotesi riconducibili nel novero delle confische
senza condanna sono ritenute compatibili con i principi
dettati dalla Convenzione EDU in materia di sanzioni penali, quali interpretati
dalla Corte EDU.
Esemplificando, mentre riconosce la legittimità della
confisca di prevenzione (Corte
EDU, Grande Camera, 1 marzo – 6 aprile 2000, Labita c. Italia. 77) – tipico esempio di misura
applicata a prescindere dalla condanna e, addirittura,
indipendentemente dall’instaurazione di un procedimento penale – la Corte EDU sembrava non ammettere la
confisca urbanistica in assenza di condanna (Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c.
Italia).
Ora, se il risultato che si raggiunge attraverso lo strumento
della confisca èsempre il medesimo e consiste nell’ablazione definitiva del
bene, occorre domandarsi come mai in alcuni casi la confisca senza condanna sia
stata dichiarata convenzionalmente compatibile, mentre in altri sia ritenuta inapplicabile
e contraria ai principi convenzionali.
Di recente, il medesimo contrasto è sorto anche alle altre
ipotesi di confisca non obbligatoria.
In effetti la III sezione della Corte di Cassazione, con
sentenza 11 maggio 2020 (Ud. 15 novembre
2029), n. 14218, si è pronunciata sulla opportunità di irrogare la misura della confisca
per equivalente, prevista dall’art. 12 bis, d. lgs. n. 74/2000, in ipotesi di
reati tributari che siano dichiarati estinti
per intervenuta prescrizione. In questa sede è stato richiamato il principio di
diritto formulato dalle Sezioni Unite (sent. 21 luglio 2015 n. 31617), secondo
cui il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta
prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e
sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il
prezzo o il profitto.
Tale ultima pronuncia aveva rilevato che la confisca per equivalente,
avendo natura sanzionatoria, impone di escludere che possa essere disposta
l’ablazione definitiva del bene ove il reato sia dichiarato estinto per
prescrizione.
Pare che la pronuncia in commento si sia posta, ictu culi, in
contrasto con le più recenti riforme del processo penale, così come interpretate
dalle ultime Sezioni Unite.
In effetti l’art. 6, comma 4, d. lgs. 1 marzo 2018, n. 21 (che ha
stabilito il principio della “riserva di codice”), ha introdotto nel codice di
procedura penale il nuovo art. 578 bis, poi integrato dalla cd legge “spazzacorrotti
del 9 gennaio 2019, n. 3, secondo cui: “Quando è stata ordinata la confisca
in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240 bis del codice
penale e da altre disposizioni di legge, o la confisca prevista dall’art. 322 –
ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel
dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono
sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della
responsabilità dell’imputato”. Il dictum “altre disposizioni di legge” ha
fomentato il dibattito: da un lato, infatti, la sentenza n. 6141/2019 ha
incidentalmente ritenuto che la locuzione “altre disposizioni di legge”
contenuta nell’art. 578 bis c.p.p. sia da intendersi come un generico
riferimento alle diverse forme di confisca previste dalle leggi penali
speciali; dall’altro lato, la sentenza n. 13539/2020 ha stabilito che l’art.
578 bis c.p.p., come da ultimo novellato, deve essere interpretato nel
senso che esso si applica a tutte le ipotesi di confisca.
Questo secondo orientamento pare preferibile in quanto la Corte lo ha
ritenuto suffragato, in un certo senso, anche dalla successiva integrazione
apportata dalla “spazzacorrotti”, afferente l’estensione all’art. 322 ter c.p.
Essa va a rafforzare una lettura della disposizione inclusiva anche dei provvedimenti
ablatori aventi portata lato sensu sanzionatoria, come indubbiamente è
la confisca per equivalente.
Conclusioni.
Nella prospettiva della responsabilità
amministrativa degli enti derivante da reato, pacifica è l’inefficacia del
modello ablativo classico. Il legislatore, pertanto, si è visto gravato
dall’onere di rimodellare l’istituto della confisca alla luce delle specifiche
esigenze, calibrando l’intervento repressivo, geneticamente orientato al
rapporto tra la res strumentale al reato e l’autore del
fatto-presupposto, sulle articolazioni tipiche dell’attività d’impresa, mirando
al vantaggio patrimoniale da essa conseguito.
Ecco perché
nel contesto del complessivo apparato sanzionatorio del d.lgs. n. 231 del 2001,
dove la confisca si ammanta di riflessi ulteriormente “proteiformi” all’interno
della stessa disciplina normativa, in termini di garanzie applicabili, è di
fondamentale importanza impedire che essa assuma un surplus di
afflittività, tale da trasformarla in una inedita “pena patrimoniale”,
incompatibile con i principi costituzionali, come potrebbe avvenire nelle
ipotesi di “confisca senza condanna”.
Ad ogni buon conto, le Sezioni Unite offrono una lettura del tutto inclusiva
dell’art. 578 bis c.p.p. secondo cui tutte le ipotesi di confisca,
comprese le confische per equivalente, possono essere disposte con una sentenza
di proscioglimento ex art. 531 c.p.p., sebbene detto orientamento
maggioritario, secondo altre autorevoli opinioni, oltre ad essere di dubbia
compatibilità con il testo stesso della norma, è pure di dubbia compatibilità
con il dettato costituzionale.
Di fatti, vista la natura sanzionatoria della confisca per equivalente,
ci si domanda se una norma che permetta di irrogare la confisca per equivalente
nei casi in cui il reato si sia estinto per intervenuta prescrizione contrasti con
il principio di colpevolezza e di presunzione di innocenza ex art. 27
Cost., consentendo allo Stato di punire un imputato, di fatto, non condannato.